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domenica 20 settembre 2009

Province: carrozzone politicamente utile



























Le province italiane sono 109 più la Valle d'Aosta. All’epoca di Giolitti, agli inizi del Novecento le provincie erano 69!

Per valutare l'utilità o meno di un ente bisogna innanzitutto chiedersi a cosa serve. Per capire a cosa serve, bisogna vedere come vengono spesi i soldi. Dai dati della stessa Unione delle Province Italiane, il 73% dei bilanci se ne va in spese correnti e soltanto il 27% in investimenti. Tradotto in soldoni: 3/4 dei soldi servono al mantenimento delle stesse province, e solo 1/4 vengono utilizzati per il cittadino (sul come è tutto un altro discorso).
Insomma un carrozzone buono a distribuire posti di lavoro per gli amici degli amici (dei politici). Il costo complessivo delle 110 province ammonta a 115 miliardi di euro pari a 2 miliardi di vecchie lire per provincia.
Soldi sborsati dai cittadini per il loro mantenimento.

Quindi una fetta consistente di spesa pubblica, circa il 9% di quella complessiva e un 20% di quella degli enti territoriali va alle provincie.
La cifra complessiva è enorme, circa 20 miliardi all’anno, che è la somma dei bilanci delle 110 province. L’osservazione è facile, sopprimendo gli enti provinciali va da sé che lo Stato risparmierebbe una massa finanziaria di dimensioni uniche. Per aver dei termini di raffronto basti pensare che il ripiano dei debiti della sanità di Lazio, Campania e Sicilia è costato 9 miliardi di euro, ancora, il taglio dell’Ici è costato 2 miliardi e mezzo, circa un decimo della spesa delle province.

Negli ultimi dieci anni la Spagna ha investito nelle infrastrutture, circa 25 miliardi di euro, ottenendo una grande modernizzazione del sistema paese iberico, soprattutto nei trasporti (con l’Ave, l’alta velocità Espana), quindi, in un decennio, ha speso appena 5 miliardi in più di quello che le burocrazie delle province italiane spendono in un anno.

Le province spendono quello che viene trasferito dallo Stato, quello che ricevono dalla Regioni e quello che ottengono con alcune imposte.
Su circa 20 miliardi il 28,3% è costituito da spese per i redditi da lavoro dipendente, un’altra quota, circa il 5%, serve a pagare consiglieri provinciali, assessori e presidenti.

L’analisi dei bilanci rivela che quasi tutto è assorbito dal mantenimento dell’ente stesso, della sua struttura burocratica nelle varie articolazioni, mentre solo una minima parte finisce a finanziare strutture per i cittadini, come strade e scuole.
Il numero dei dipendenti delle amministrazioni provinciali si aggira sulle 300mila unità, considerati anche quelli indiretti che “lavorano” in enti collegati.

Attualmente la Francia ha 96 dipartimenti, più i residui di colonie divisi in quattro dipartimenti d’oltremare, però, il paese transalpino ha una superficie metropolitana di 543mila chilometri quadrati mentre quella dell’Italia è di 301mila chilometri quadrati. La Spagna, con una superficie di 504mila chilometri quadrati, ben più grande del nostro Paese, ha 50 Province.

Il ministero dell’Interno stima in oltre 4.000 il numero complessivo degli amministratori e degli eletti di tale ente, suddivisi in 2.900 consiglieri, 50 tra presidenti e vicepresidenti di assemblea, 109 presidenti di giunta, circa 1.000 assessori.

Solo questo esercito di politicanti assorbe 50 milioni di euro l’anno in compensi, tenuto conto che lo stipendio mensile di un presidente oscilla tra i 4.000 e i 7.000euro al mese (a seconda del numero degli abitanti), quello di un vice-presidente tra i 3.000 e i 5.200, quello di un assessore tra i 2.700 e i 4.500, più gli emolumenti riconosciuti ai consiglieri.

I compensi ai singoli non esauriscono i costi della politica nelle province. Ci sono, infatti, gli edifici, i collaboratori di segreteria, le “auto blu”, spese di rappresentanza, i rimborsi per trasferte.
Quando, fra il 2004 e il 2005, il governo Berlusconi si decise, finalmente, a tagliare le aliquote Irpef, l’operazione costò circa 9 miliardi.
La matematica non inganna, eliminando le province si potrebbe realizzare un buon taglio delle imposte agli italiani, almeno due punti di aliquota su tutti i redditi.

Insomma una manovra in grado di ridare fiato all’economia.

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"E' chiaro che il pensiero dà fastidio
anche se chi pensa e' muto come un pesce
anzi un pesce e come pesce è difficile da bloccare
perchè lo protegge il mare com'è profondo il mare"