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lunedì 31 agosto 2009

La valle dei misteri



























E’ stato ucciso perché sapeva. Vito Lipari, sindaco di Castelvetrano, era al corrente degli imbrogli organizzati per la ricostruzione del Belice. Sapeva, per esempio, che tutto il piano di ricostruzione della zona compresa tra Castelvetrano e Gibellina era falso. Così è successo che la mattina del 13 agosto 1980 la sua Golf è stata affiancata da un’altra vettura. Due uomini hanno fatto fuoco e lo hanno raggiunto in pieno con due colpi di P38 e otto colpi di lupara.

Delitto di mafia, sentenziano gli inquirenti. Vito Lipari era un personaggio importante e puntava molto in alto. Sindaco dal 1968, alle elezioni politiche aveva ottenuto 40 mila voti di preferenza, risultando nella Sicilia occidentale il primo dei non eletti alla Camera. A poco più di quarant’anni, vantava amicizie e protezioni forti e sicure. Per esempio, quelle dell’ex ministro Attilio Ruffini, e poi quelle della famiglia Salvo, gli esattori, parenti di Luigi Corleo, il ricchissimo e vecchio proprietario terriero sequestrato sei anni fa e mai più tornato a casa.
Ma i killer di Vito Lipari non avevano previsto tutto. Nel cassetto della sua scrivania, il sindaco di Castelvetrano aveva conservato le prove, nero su bianco, degli intrallazzi del Belice. E cioè il piano del quarto comprensorio che comprende dieci Comuni, tra cui Gibellina, Partanna, Salaparuta, Campobello, Castelvetrano. Il documento, nella versione “vera” e in quella “falsa” (e vedremo più avanti cosa significa), passa prima dalle mani dei carabinieri di Castelvetrano al sostituto procuratore della Repubblica, Fausto Cardella, e poi al sostituto procuratore di Palermo, Francesco Scozzari. E le indagini prendono una svolta clamorosa, perché accertano che il piano del quarto comprensorio del Belice può essere la causa anche dell’assassinio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, ucciso il 6 gennaio 1980. Gli inquirenti sono convinti, infatti, che tra gli omicidi Mattarella e Lipari ci sia un collegamento diretto. Dalle prove balistiche risulta che i proiettili che hanno ucciso il presidente della Regione presentano sorprendenti analogie con quelli estratti dal cadavere di Lipari. Più tardi si scopre che la stessa P38 special è stata utilizzata per portare a termine anche un altro delitto mafioso.

Ma esistono altri motivi per ritenere che i due omicidi abbiano la stessa matrice. Piersanti Mattarella aveva voluto rivedere, a partire dall’autunno 1979 i piani di ricostruzione del Belice, e sul famoso piano numero quattro aveva fissato la sua attenzione, perché aveva deciso di scoprire da chi e per quale motivo era stato falsificato. D’altra parte, Vito Lipari, sette mesi dopo la morte di Mattarella, custodiva ancora gelosamente il piano, nella versione vera e in quella falsa, e come sindaco di Castelvetrano era direttamente coinvolto nella vicenda.
Ma cos’è esattamente il documento che è costato la vita di Lipari e forse di Mattarella? Si tratta dei piani urbanistici relativi al quarto comprensorio della Valle del Belice che comprende dieci Comuni: complessivamente un territorio di 77 mila ettari con una popolazione di circa 100 mila persone. Fu il presidente della Regione, il democristiano Angelo Bonfiglio, che nel maggio del 1977, si dice per fare dispetto ai socialisti, affidò all’ispettore della presidenza regionale l’indagine sul quarto comprensorio. L’ispettore scoprì che gli atti che aveva esaminato erano falsi. Chi aveva interesse a falsificarli? Nel 1972, il gruppo regionale del Psi aveva presentato un emendamento per cui i piani particolareggiati del piano numero quattro non solo potessero essere elaborati prima che il piano stesso fosse approvato, ma addirittura che venissero resi esecutivi senza nessuna approvazione. Il tentativo dei socialisti fu bloccato dall’intervento del comunista Pancrazio de Pasquale e dal democristiano Gaetano Trincanato, che riuscirono a sventare la manovra. L’emendamento non passò, ma il piano numero quattro sparì. Al suo posto circolò una versione “rettificata” che ha permesso di costruire migliaia di alloggi laddove il piano vero prevedeva verde a rispetto del parco archeologico e di alterare completamente i valori immobiliari dell’intero territorio su quale, poi, ha scorazzato la mafia degli appalti.

Ma sull’intera vicenda grava il mistero. Chi ha, infatti, falsificato il piano? Chi ha intascato i quattrini? Perché Lipari conservava le due versioni del piano? Nessuno lo sa. Per fare luce su questi torbidi retroscena, sugli assassini e sulle ruberie, era stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta. La commissione ha finito i suoi lavori la sera di martedì 30 giugno scorso. li aveva inaugurati la mattina di mercoledì 12 dicembre 1979. In tutto, quarantuno sedute. Il presidente, Luciano Dal Falco, ha consegnato la relazione conclusiva ai presidenti della Camera e del Senato. Sono 690 pagine, fitte di cifre e di date. In realtà, a leggerle bene, sembra di sfogliare l’album completo dei misteri della Valle del Belice. Perché gli interrogativi per tanti anni restano più inquietanti di prima.
E i morti ammazzati, le faide mafiose, le risse politiche, gli intrallazzi dei funzionari pubblici, le ingordigie dei costruttori, le tentazioni dei ministri, la spesa di 1.833 miliardi? Non c’è traccia: tutto è stato appiattito e sdrammatizzato: è come se un “giallo” così denso di colpi di scena fosse stato affidato alla penna di Liala, quando tutti si aspettavano quella di Leonardo Sciascia. Nomi non ci sono: ministri, funzionari, palazzinari: chi sono? Di fronte alle sfacciate ruberie di costruttori protetti dalla lupara, la commissione parlamentare non ha battuto ciglio. Sulla vicenda della costruzione della diga di Gracia, uno dei capitoli più sanguinosi della storia mafiosa degli anni ’80, la relazione della commissione così si esprime:”non si evidenziano apparenti anomalie nell’appalto dei lavori”.
Di fronte alla lievitazione dei costi dell’esproprio dei terreni, che dagli iniziali 2,587 miliardi sono passati a 21,085 miliardi, la commissione finalmente si scuote e riesce a dire: “Questo appare davvero piuttosto forte”.

Nemmeno di fronte al rapporto della Guardia di finanza sulle irregolarità nell’aggiudicazione degli appalti, la commissione s’impressiona. Che c’è di strano se l’importo iniziale di 44 miliardi previsto per i lavori di trasferimento di alcuni abitati sale senza una plausibile giustificazione a 165 miliardi?
Ed è stata subito battaglia. Appena conclusi i lavori della commissione, i comunisti sono partiti all’attacco accusando tutti: democristiani, socialisti e repubblicani, colpevoli, secondo loro, di avere firmato la relazione di maggioranza. I comunisti hanno presentato una loro relazione firmata dall’onorevole Agostino Spataro che definisce generica la relazione di maggioranza dove “tutto appare da condannare e nello stesso tempo da assolvere”. Un’altra relazione di minoranza è stata presentata dal Msi ed è firmata da Guido Lo Porto. I democristiani hanno reagito prendendosela con i socialisti, ricordando che Salvatore Lauricella e Giacomo Mancini sono stati ministri dei Lavori Pubblici negli anni caldi del Belice. I socialisti hanno replicato, prima, ai democristiani, facendo i nomi di due ministri dei Lavori Pubblici anch’essi implicati nel Belice, Lorenzo Natali e Antonino Gullotti; e, poi, ai comunisti, ricordando che molti sindaci dei Comuni del Belice hanno la tessera del Pci. Ad attizzare il fuoco è intervenuto il repubblicano Enrico Ermelli Cupelli che, dopo aver votato la relazione di maggioranza, ha chiesto che gli atti della commissione venissero inviati alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Palermo.

Sul ruolo della magistratura siciliana nelle vicende della ricostruzione del Belice sono tutti d’accordo. E’ stata assente di fronte agli intrallazzi e agli omicidi, e alle sfide della mafia. A Palermo, Sciacca, Trapani e Marsala sono in corso complessivamente 27 inchieste che non fanno progressi. Fino a tutto il 1980 risulta adottato un solo provvedimento restrittivo seguito comunque dalla libertà provvisoria. Finora non è stata emessa nessuna sentenza di condanna. Ma i comunisti sono decisi a fare del Belice il loro cavallo di battaglia di quest’estate. Il loro intento è di sollecitare la magistratura a iniziare inchieste sui casi più clamorosi di furfanterie avvenute nella valle del terremoto dal ’68 ad oggi. Con la speranza di vedere implicati, finalmente, i nomi di qualche ministro dei Lavori Pubblici. Così scatterebbe l’intervento della commissione inquirente.
Gli altri patiti rispondono con il silenzio. Il caldo, la noia, pensano, aiuteranno a dimenticare questa interminabile vicenda. E come primo traguardo si propongono di ostacolare la pubblicazione delle tre relazioni di maggioranza e di minoranza. se tutto va bene, se ne riparlerà in autunno.
Mario La Ferla

Tutto questo nell'anno 1981...

Dello stesso autore:

Dopo le terribili scosse registrate nella notte di domenica 14 gennaio 1968 nella valle compresa tra i comuni di Palermo, Trapani e Agrigento, che causarono la distruzione di dieci paesi, la morte di 400 persone e il ferimento di migliaia, le autorità di Palermo e di Roma dettero il via a una corsa verso quella che sarebbe dovuta essere una esemplare ricostruzione di paesi e delle loro attività produttive. Si assistette invece a una corsa di architetti e ingegneri che annunciarono città nuove e avveniristiche. E in quella occasione, per Gibellina, si parlò di una nuova Brasilia, la modernissima capitale del Brasile. Mentre le gente del Belice aspettava acqua, luce, strade, scuole e centri sociali e culturali, vedeva sorgere edifici scandinavi, boulevard parigini, chiese in stile islamico e una infinità di monumenti-opere d'arte. Il libro-inchiesta ripercorre le tappe della lunga e costosissima ricostruzione, rivelando le ingerenze mafiose, le lotte per gli appalti e l'ingordigia dei politici locali e di quelli nei palazzi romani. Nonostante il fallimento di un'operazione lunga 39 anni, ogni anno il governo nella legge finanziaria continua a elargire ragguardevoli fondi da destinare ad altre opere nel Belice.

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1 commenti:

Salvatore Scaglia ha detto...

La vicenda narrata nell'articolo di La Ferla mi indigna, ma non mi meraviglia affatto, purtroppo.
Ho parenti e conoscenti a Partanna (TP) e so, ad esempio, quante case - che potevano essere benissimo ristrutturate (o ritoccate: è il parere di mio padre, ingegnere) - sono state invece demolite e ricostruite di sana pianta. Con il denaro pubblico, ovviamente !
So anche che, prima di essere ammazzato, il consigliere istruttore Rocco Chinnici (che peraltro era stato per 12 anni pretore proprio a Partanna) indagava sulla ricostruzione della Valle del Belice: un giorno infatti, nel ricevere mio padre (che con lui collaborava), gli disse che andava di fretta perchè (e gliele indicò) aveva montagne di fascicoli da consultare concernenti il Belice.
So pure che negli anni '80 (io ero poco più che fanciullo) proprio a Partanna si registrò una faida sanguinosissima tra gli Ingoglia e gli Accardo, per il controllo del territorio (solo per questo ?). E sempre a Partanna vi fu l'assassinio del promettente democristiano Stefanino Nastasi, il cui mandante fu indicato nella persona dell'attuale sindaco partannese, nonchè parlamentare regionale, Vincenzino Culicchia (successivamente scagionato).
Morto Chinnici; morti Vito Lipari e Piersanti Mattarella (di cui si parla nell'articolo); morti tra le cosche mafiose partannesi; morto Nastasi... Tutto casuale e slegato ?
Credo proprio di no !

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"E' chiaro che il pensiero dà fastidio
anche se chi pensa e' muto come un pesce
anzi un pesce e come pesce è difficile da bloccare
perchè lo protegge il mare com'è profondo il mare"